La storia e l’economia

La piazza di Lucinico prima della Grande guerra

Il paese di Lucinico è collocato su un’altura, alle pendici del monte Calvario, in una posizione panoramica che consente di spaziare con lo sguardo da un lato verso l’Isonzo e Gorizia, dall’altro verso la pianura friulana ed il Collio, lungo una direttrice che collegava fin dall’antichità le terre e le popolazioni dell’est europeo all’Italia. Proprio per questo, nel corso dei secoli il paese fu teatro di avvenimenti drammatici e di vicende belliche di certo non volute dalla sua gente, dedita soprattutto all’agricoltura. Fu grazie agli sbancamenti operati per l’impianto di alcuni vigneti che, nella prima metà del Novecento, vennero alla luce le prime testimonianze di presenza umana a Lucinico. Nel 1946 fu scoperta sulle pendici del Monte Calvario una necropoli a cremazione dell’età del ferro: alcune tombe contenevano oggetti datati tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. Nello stesso periodo, in località Pubrida, uno scavo portò alla luce i resti di una villa rustica romana risalente al II secolo d.C., pare distrutta da un incendio; di essa era già andato perduto un mosaico emerso nel 1877. Nelle vicinanze si individuarono anche le tracce di una strada romana che, presumibilmente, conduceva a Forum Julii, oggi Cividale. In altro luogo, si rinvennero pure monili medievali del IX-X secolo. L’abitato entra nella storia nel 1077, quando in un diploma l’imperatore Enrico IV premia la fedeltà del patriarca di Aquileia Sigeardo, assegnandogli la contea del Friuli, vari feudi ed il territorio di Lucinico. L’atto imperiale accen tuò la lotta tra il patriarca ed i conti di Gorizia per il controllo di possedimenti dai confini estremamente articolati e complessi In tale contesto, Lucinico, dotato di una fortificazione ritenuta da alcuni imprendibile, era ambito per la sua posizione strategica, in quanto permetteva di controllare l’unica via che, lungo la riva destra del fiume, conduceva al ponte sull’Isonzo e, quindi, alla città. Il vecchio ponte romano che collegava un tempo le due sponde in località Mainizza era stato distrutto probabilmente durante le incursioni degli Ungari. Verso la fine del XIV secolo il paese entrò a far parte del territorio di Gorizia. Non per questo ebbe pace, perché si ritrovò coinvolto negli scontri tra la Repubblica di Venezia, che aveva occupato il Patriarcato, ed i conti di Gorizia prima, e tra la Serenissima e l’imperatore d’Austria poi, quando gli Asburgo rivendicarono il possesso ereditario delle terre della Contea, dopo l’estinzione del casato. A questi fatti si affiancarono altre dolorose vicende, come le scorrerie dei turchi ed il dilagare della peste. Resta, a testimonianza di quest’ultima, la chiesetta eretta probabilmente nel XVI secolo e dedicata a San Rocco. Nel 1615, quando scoppiò la guerra di Gradisca tra Austria e Venezia, Lucinico si trovò in prima linea. Occupata dai veneziani, passaggio obbligato per le truppe dirette alla presa dei ponti sull’Isonzo, divenne un campo trincerato per tutta la durata del conflitto, che si concluse alla fine del 1617. Qui diedero prova della loro abilità grandi condottieri, come il Trauttmansdorff, capo supremo degli arciducali, e Pompeo Giustiniani, comandante delle milizie venete, che, ferito durante una ricognizione per guadare l’Isonzo, fu trasportato in paese, dove morì l’11 ottobre del 1616. In seguito Lucinico, sotto l’Impero asburgico, visse ancora momenti di tensione come l’arrivo di Napoleone con l’esercito francese ed i moti del ’48, per citarne alcuni. Dalla metà dell’Ottocento ci fu un periodo di pace fino al 1915, quando l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria nel primo conflitto mondiale, trasformò nuovamente i campi arati, i vigneti, le chiese, le strade, le case, segno dell’operosità della gente, in trincee, in luoghi di dolore e di sangue. Di nuovo in prima linea: questa volta tutto fu distrutto e devastato. Già nel 1914 gli uomini abili al reclutamento erano stati richiamati nell’esercito austroungarico e inviati prevalentemente sul fronte orientale. Una recente ricerca ha riportato alla luce i nomi dei lucinichesi caduti tra le file degli imperiali. Ora sono citati in un monumento che completa il ricordo di tutti coloro che persero la vita durante il conflitto.

Ancor oggi la terra mostra le ferite inflitte durante la guerra: trincee, gallerie, postazioni di artiglieria, tombe di caduti, residuati bellici. Il Calvario è ora zona monumentale a ricordo dei tanti soldati italiani morti per la conquista di Gorizia (giugno ’15 - agosto ’16). Un’altra testimonianza è custodita nella chiesa parrocchiale: un dipinto realizzato dal pittore Giulio Aristide Sartorio e donato per riconoscenza alla comunità, perché, colpito gravemente mentre era sul fronte, l’artista era stato salvato dalla gente di Lucinico.

Il paese ed in particolare il monte Calvario, luogo di sanguinosi scontri, ven- nero citati, oltre che nei diari di molti soldati, anche da cronisti di guerra e scrittori di entrambi gli schieramenti, quali Ernest Hemingway, Alice Schaleck, Italo Svevo, Scipio Slataper, che qui morì nel dicembre del ’15.

Non mancarono sofferenze anche per la popolazione civile, che dovette provare la dura esperienza della profuganza: chi abbandonò il paese in prossimità dello scoppio delle ostilità venne condotto in varie località dell’impero, mentre coloro che vennero sfollati dall’esercito italiano furono portati in diverse zone della penisola. Talvolta i nuclei familiari furono divisi. Al ritorno, con coraggio e speranza, i lucinichesi ricostruirono le case e la vita riprese a scorrere.

La gente di Lucinico, come la maggior parte delle popolazioni del Friuli orientale ex austriaco, visse fino alla Prima guerra mondiale prevalentemente di agricoltura. Le produzioni, come d’uso, erano varie: dal frumento al gran- turco, al vino, dalle patate agli alberi da frutta, in particolare ciliegie. Si allevavano i bachi da seta e tutte le famiglie contadine avevano la stalla con bovini per il latte e per i lavori nei campi, non mancavano mai inoltre il maiale e gli animali da cortile. Accanto alle piccole proprietà fu fonte di lavoro, soprattutto per tanti coloni, la vasta proprietà dei conti Attems.

Tra le due guerre mondiali assunse particolare rilievo il flusso di mano d’o- pera nelle fabbriche di Gorizia e nel cantiere di Monfalcone. Alla fine della Seconda guerra mondiale anche in paese si avviò un’attività industriale: ai piedi di un’altura detta Bratinis, su un’area ricca di argilla, fu edificata una fornace, che per alcuni decenni produsse materiali per l’edilizia ed offrì lavoro alla gente del luogo. Notevole fu l’impatto ambientale. Oggi rimangono la vecchia strut- tura restaurata ed adibita ad altre funzioni ed un ameno laghetto.

La forte accelerazione industriale postbellica portò, come ovunque, un veloce spopolamento delle campagne; fenomeno su cui più tardi influirono anche le politiche comunitarie nel settore agricolo, che scoraggiarono le realtà più

piccole. Il reddito del- le famiglie venne quindi prodotto sempre più da attività nei settori secon- dario, prevalentemente dall’artigianato, e terziario; e solo in parte dal la- voro agricolo, soprattutto dei più anziani. Accanto alle assunzioni nell’industria, e grazie all’accresciuto livello di scolarizzazione, aumentarono infatti gli impieghi negli uffici pubblici di Gorizia, nelle ferrovie, nella sanità, nelle banche, nel commercio e negli altri settori dei servizi.

Questa tendenza è proseguita fino alla grande crisi mondiale avviatasi nel 2008. Si deve però sottolineare che lo sviluppo dei servizi non è stato in grado di controbilanciare le notevoli riduzioni occupazionali provocate dalla chiusura del Cotonificio Triestino di Piedimonte negli anni ’80 e della SAFOG-OMG nei primi anni 2000. In tempi più recenti anche il settore del commercio è sta- to ridimensionato dalla riduzione della clientela slovena, per effetto dell’entrata della Slovenia nell’Unione Europea, e dalla sempre più pervasiva presenza dei grandi centri commerciali collocati tra Villesse e Udine. Queste vicende spiegano la continua riduzione della popolazione goriziana passata in trent’anni da 43.000 a poco più di 33.000 abitanti. Lucinico ha invece mantenuto sostanzialmente stabile la sua popolazione, 3500 abitanti, per effetto di scelte urbanistiche che hanno qui inserito un’area di edilizia popolare e favorito di- verse costruzioni private.

In tale contesto grande importanza ha avuto la presenza della locale Cassa Rurale, fondata nel 1907 come aiuto cooperativo per contadini ed artigiani e che ha assunto nel tempo un ruolo di motore economico ed occupazionale, diventando la più corposa realtà aziendale di Lucinico; significativo è il suo sostegno economico alle tante associazioni del paese e dintorni. Recenti evolu- zioni del settore hanno portato alla fusione della banca con altre realtà limitrofe ed alla costituzione della Cassa Rurale FVG, più grande e territorialmente estesa, ma sempre con sede a Lucinico.

Oggi sono attive pochissime aziende agricole con un’accentuata presenza della viticoltura e interessanti novità agrituristiche; nel settore industriale l’at- tività è naturalmente focalizzata sulla piccola industria e sull’artigianato; la grande distribuzione ha inciso anche qui sul settore commerciale, che ha però mantenuto una discreta presenza di locali “botteghe”, anche per iniziative di non residenti. La maggioranza della popolazione trae quindi oggi il proprio reddito dal settore terziario, ma notevoli sono i movimenti pendolari verso le aziende del Monfalconese e dell’Udinese e verso gli uffici e i centri direzionali di Trieste.